Riesce a sfuggire al regime iraniano ma all’arrivo in Italia viene arrestata. La storia di Maysoon Majidi
Oggi per la rubrica “Stranieri in Italia e nel mondo” si torna a parlare di immigrazione, raccontando la storia dell’attrice e regista curda ventisettenne Maysoon Majidi che fuggita dal sanguinario regime iraniano e approdata il 31 dicembre sulle coste calabre in cerca di protezione, ora è accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
I dettagli
Maysoon Majidi laureata in regia teatrale e attivista per i diritti umani, è finita nel mirino del regime iraniano per aver preso parte alle proteste legate alla vicenda della 22enne Jina Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale iraniana perchè indossava l’hijab in maniera impropria, di qui la decisione di fuggire dal suo paese di origine alla volta dell’Italia. La giovane 27enne, salita a bordo di un veliero insieme al fratello e ad altri 77 migranti, intrapresa la rotta turca, è riuscita a sbarcare sulle coste calabre il 31 dicembre dopo 5 giorni di traversata. Ma al culmine di questo estenuante viaggio il veliero incaglia nelle vicinanze delle coste calabre e viene scortato dalla Guardia di Finanza fino al porto di Crotone.
Il turco Ufuk Akturk, presunto scafista dell’imbarcazione e Maysoon Majidi vengono accusati di essere i “capitani” dell’imbarcazione. Stando alle testimonianze di 2 migranti la donna era stata vista nella zona vicino al timone. La procura di Crotone ha formulato a carico dell’attivista curdo-iraniana l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante “di aver condotto la barca mettendo in pericolo le persone e caratterizzata dal fine del profitto”. Secondo gli inquirenti la donna avrebbe ricoperto il ruolo di “seconda capitana” dell’imbarcazione e l’accusa le è stata mossa dopo le testimonianze di 2 persone presenti sullo stesso mezzo, ma le dichiarazioni-video rilasciate da queste stesse persone al legale della giovane non confermerebbero tali testimonianze. Maysoon Majidi ora si trova nel carcere di Castrovillari e rischia fino a 5 anni di reclusione.
A favore della donna gioca il fatto che insieme al fratello avrebbe pagato 17.000 dollari per arrivare in Italia, la prova di tale somma è la ricevuta di un money exchange e come giustamente sottolinea il legale della donna Giancarlo Liberati: “Uno che paga non è ovviamente uno scafista”. C’è poi il problema della lingua che potrebbe rendere le traduzioni dal curdo-iraniano all’italiano non sempre chiare.
Ci sono dunque diversi elementi da chiarire in tutta questa vicenda. Sta di fatto che il rischio che la giovane attivista correrebbe nel caso di un rimpatrio sarebbe altissimo vista la politica repressiva che l’Iran esercita sulle donne. E il ruolo dell’Italia dovrebbe essere quello di offrire protezione ai rifugiati.